Tipica della tradizione perugina, la “torta al testo” ritrae bene l’identità culinaria umbra: semplice, con lavorazioni non troppo elaborate che omaggiano i sapori delle materie prime.
La torta al testo è l’alternativa non lievitata
al pane.
Il nome deriva dal “testo”, la pietra refrattaria messa sulla brace ed
utilizzata per la sua cottura (per noi, moderni angeli del focolare, sono
disponibili dischi di ghisa da mettere sul gas).
A Perugia e in Umbria si gusta farcita con prosciutto nostrano,
salsicce e verdura o stracchino e rucola.
La torta al testo è talmente popolare che, in tutta la regione,
vengono organizzate, ogni anno, vere e proprie feste in suo onore.
Ingredienti
- 500g farina
-
½ cucchiaino di bicarbonato
-
½ cucchiaino di sale
-
testo
Su di una spianatoia versate la farina, aggiungete un pizzico di sale,
il bicarbonato e un po’ d’acqua, così da ad ottenere un impasto abbastanza
morbido. Lavorate l’impasto in modo circolare, realizzando un disco dello
stesso diametro del testo e dello spessore di circa 3 cm. Riscaldate bene il
testo. Per capire quando sarà pronto, spargeteci un po’ di farina, che dovrà scurirsi; a questo punto adagiateci
delicatamente sopra la torta dopodiché bucherellate l’impasto con una
forchetta. Cuocete la torta per 10-12 minuti girandola spesso in modo da farla
cuocere bene anche all’interno.
A fine cottura, togliete la torta dal testo, e
servitela ben calda.
Perugia, splendida
patria di questo piatto, merita almeno qualche
cenno.
Prendo in prestito le parole di Ugo Coppari, scrittore e mio
collaboratore. Pochi avrebbero saputo fare meglio.
"Oggi […] c'è il mercato
dell'antiquariato, e gli abitanti della città si mescolano a quei turisti che
vengono a curiosare in un luogo che sa offrire elementi ben riconoscibili fra
le cianfrusaglie della aneddotica. Qui vissero gli etruschi, uno dei primi
popoli della zona ad accompagnare i morti nella vita dell'aldilà. Qui si viene
a studiare l’italiano, la nostra lingua viene piantata nella mente dei tanti
studenti stranieri che come spore la faranno fiorire lontano nel mondo e nel
tempo. Qui attorno hanno girovagato mistici fondatori di note confraternite
religiose e sante a cui ancora si appellano diversi italiani: san Francesco,
san Benedetto, santa Chiara, santa Rita. Qui si festeggiano il jazz e il
cioccolato, due fenomeni che hanno fatto ribollire il sangue delle civiltà
afro-americane e pre-colombiane. E direi anche che il suo lago ha un'impronta
sullo spirito lacustre della gente. Si ha l'impressione che la regione, priva
di accesso al mare, si ripieghi su se stessa e con questo porti gli orizzonti
di ogni suo cittadino a flettersi verso un dentro piuttosto che verso un fuori.
Una mollezza nelle azioni si mescola ad un'asprezza delle intenzioni: si finisce
con l'arroccarsi sul proprio presente e sulla propria interiorità, e nonostante
tutto sembri sempre sul punto di crollare, tutto rimane invece incantato, come
la traccia di un disco che non riesce ad andare avanti. Ma la melodia è
ipnotica e ci si abbandona. E forse sono questi ultrasuoni, ai più non
decifrabili, ad attirare maree di turisti ed errabondi in cerca di un destino
significativo. Le anime del mondo intero si riversano in questo piccolo lago
incantato come affluenti che ne tengano alto il livello delle acque e ne
impreziosiscano la diversità biologica. Qui non si ha la pretesa di essere i
migliori, i più grandi, i più. Qui si vive come lo sguardo di questo mattino
estivo si proietta dal belvedere sulle sagome indefinite del paesaggio che lo
circonda. Un paesaggio immerso nella luminescenza dell’estate, un’estate dello
spirito, dove il bagliore del sole confonde i confini delle cose e delle colline
in lontananza, annerendole in una sola catena di gobbe dormienti. Ed è da
queste asperità che poi si arriva alle stelle." (Ugo Coppari - "Per aspera ad astra")
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